LA FLORA 

Chi si trova a percorrere in lungo e in largo l'intero territorio del Parco Naturale della Valle del Lambro, nota che, tra le fitte maglie della rete stradale e negli spazi liberi tra gli agglomerati urbani e industriali, vi sono ancora molti spazi verdi; se poi si potesse osservare questo territorio attraverso una veduta aerea, si vedrebbe che, oltre a campi coltivati, prati terrazzati e parchi privati, buona parte di questo verde è ancora occupata da boschi.
Per conoscere, però, la qualità di questi boschi, occorre attraversarli osservando con occhio attento e cercando di scoprire quali siano le associazioni vegetali presenti, cioè quell'insieme di specie arboree, arbustive ed erbacee che oggi compongono le nostre aree boschive. Come è noto, ad ogni area geografica corrispondono alcune specie vegetali tipiche, autoctone, dipendenti primariamente dal clima e dal tipo di suolo. Il  Parco Naturale della Valle del Lambro, data la posizione geografica e le sue caratteristiche meteorologiche (temperatura, piovosità e umidità) può essere inquadrata tra le aree che potenzialmente potrebbero ospitare le associazioni vegetali del tipo Querco-Fagetee: sui suoli  acidi troveremmo boschi di rovere e farnia, accompagnate da castagne, betulla e pino silvestre, mentre sui suoli neutri ci sarebbero boschi di carpino e farnia. Di fatto, la situazione dei nostri boschi non è questa, o perlomeno i tratti boschivi con queste caratteristiche sono ormai rari. Ciò è dovuto non solo allo sfruttamento che ha compromesso le capacità rigenerative del bosco, ma soprattutto all'introduzione della robinia. Questa specie, importata nell'Ottocento dagli Stati Uniti, se da un lato ha permesso di rimboschire velocemente declivi e suoli di difficile attecchimento per altre specie, dall'altro ha colonizzato fortemente gran parte dell'area boschiva: i nostri boschi si presentano quindi come una composizione prevalente di robinia accompagnata da altre specie autoctone.

La vita nel bosco

Nonostante non vi siano quasi più associazioni vegetali originarie, non possiamo negare quanto sia ancora affascinante percorrere a piedi, a cavallo o in bicicletta, i boschi del Parco. Tra quelli di maggior interesse e vastità, escludendo il Parco della Villa Reale di Monza e quelli di altre ville di delizia, vanno ricordati il bosco di Monguzzo, adiacente il lago di Alserio, la vasta area boschiva privata dell'Orrido di Inverigo, i boschi che ricoprono le valli della Bevera a Briosco, del Pegorino, del Cantalupo e della Brovada a Triuggio, nonché quelli che contornano per lunghi tratti l'asta fluviale del Lambro, da Monza a Merone.
Qui possiamo ancora ammirare diverse specie arboree pregiate: farnia, rovere, castagno, carpino bianco, betulla, pino silvestre, acero campestre, frassino, olmo, platano, ontano nero, pioppo bianco e ciliegio.
Il sottobosco è composto da nocciolo, biancospino, sanguinella, pungitopo, sambuco, evonimo, e da un'infinità di specie erbacee di cui citiamo solo alcune: pervinca, primula, bucaneve, dente di cane, anemone nemorosa, anemone epatica, elleboro, aglio orsino, mughetto, ciclamino ed il raro giglio martagone. 

Brevi cenni storici

Per poter capire come il bosco sia stato utile all'uomo, in che modo abbia potuto contribuire allo sviluppo della civiltà e quanto questo sviluppo, di riflesso, abbia influito sul bosco stesso, occorre cercare di ricostruire, per quanto possibile, un po' della sua storia. In origine le foreste rivestivano quasi completamente l'intera Brianza; per millenni le sue trasformazioni sono dipese esclusivamente dalle forze della natura e principalmente dalle variazioni climatiche: la modesta presenza dell'uomo non esercitò alcuna influenza. Dopo l'ultima glaciazione (10.000 anni fa) il nostro territorio si presentava nelle forme attuali, ma con boscaglie molto più estese intervallate da bacini lacustri e zone acquitrinose: il pino silvestre e la betulla erano gli alberi più diffusi. Man mano che il clima da freddo-secco si modificava in caldo-umido, presero il sopravvento l'olmo, la rovere, il carpino, il castagno e il tiglio.
Questi boschi, alcuni dei quali dedicati alle divinità e abitati da lupi, cinghiali, cervi, caprioli, dai quali l'uomo traeva frutti, selvaggina, pelli, miele e legname, videro le prime seppur modeste riduzioni nel periodo palafitticolo, quando l’uomo cominciò ad essere stazionario e non più nomade: nelle radure vennero costruiti i primi villaggi ed intorno ad essi si ricavarono i primi campi e i primi pascoli.
Dal I sec. a.C., in epoca romana, iniziò una maggior riduzione dell'area forestale: nacquero nuovi villaggi, si tracciarono vie di comunicazione, aumentarono le attività artigianali, agricole e militari. Durante il Medioevo si diffuse l'interesse venatorio, che favorì una certa conservazione boschiva anche se il bosco continuava ad assicurare combustibile e legname da opera. Nell'Età Moderna (XV - XVI  sec.) l'utilizzo dei boschi si fece più intenso, a causa del forte progresso agricolo, dell'artigianato e del commercio. Le crescenti richieste edilizie portarono ad una forte riduzione dei legnami pregiati (pini e querce). Nella seconda metà del '700, per cercare di arginare l'inarrestabile impoverimento boschivo, venne importata la robinia: però, se da un lato questa specie consentì un veloce e facile rimboschimento, assicurando un buon prodotto per opera e per combustibile, dall'altro modificò radicalmente l'aspetto forestale, invadendo ed inquinando le associazioni naturali preesistenti. L'affermazione della borghesia nobiliare contribuì a conservare e a salvaguardare alcune aree boschive e in alcuni casi vennero piantate, tra le specie autoctone, alcune specie orientali, al fine di migliorarne l'aspetto estetico: sono di esempio il parco e i giardini della Villa Reale di Monza e i più modesti parchi che arricchiscono le numerose ville nobiliari disseminate nel territorio del Parco della Valle del Lambro.Il nostro secolo ereditò così una discreta situazione forestale, sulla quale però vennero a gravare le necessità militari e civili delle due guerre mondiali: la scarsa disponibilità di altri combustibili, le difficoltà di approvvigionamento e la scomparsa del commercio, aumentarono in modo ragguardevole l’utilizzo del legname e a farne le spese seguitavano ad essere le specie più pregiate. Nonostante tutto, all'inizio del secondo dopoguerra il territorio brianzolo risultava essere ancora una delle aree più boscate del pianalto lombardo; in seguito, l'utilizzo di nuove fonti energetiche determinò un crescente disinteresse verso le proprietà boschive; la trascuratezza venne poi aggravata dall'abbandono di rifiuti di ogni genere, sintomo di indisciplina e noncuranza verso l'ambiente naturale. A migliorare questa situazione hanno contribuito l'istituzione dei Parchi e delle Riserve Naturali, nonché le leggi nazionali e regionali in materia forestale ed urbanistica.